La fiamma della notte, di Jack Vance

All’estremità del Corno di Ofiuco splendeva d’un bianco abbagliante la Stella di Robert Palmer e alcuni pianeti, una decina, le facevano compagnia, come bambini ruzzanti intorno a un albero di maggio. Quel settore di spazio era remoto; i primi esploratori erano stati pirati, evasi e “frangiaroli” (derivato da “frange della società”, ossia misantropi vagabondi) seguiti da coloni di svariata estrazione sociale, col risultato che Camberwell era abitato da parecchie migliaia di anni.
(trad. di G. L. Staffilano)

Quarta di copertina:
L’ossessione lo insegue dovunque, sui pianeti più incredibili e tra le razze più infide della galassia: Jaro deve scoprire a tutti i costi chi ha ucciso i suoi genitori adottivi, qual’è l’identità di suo padre, per quale ragione la sua vita è in pericolo, fin da quando era ragazzo. Quando finirà il suo viaggio?

Nonostante sia un’opera dell’ultimo periodo lavorativo di Jack Vance (San Francisco, 28 agosto 1916 – Oakland, 26 maggio 2013), La Fiamma della Notte (Night Lamp, 1996) è un ottimo romanzo, scorrevole e mediamente appassionante. Non può essere certo annoverato tra i capolavori della fantascienza vanceana, come le serie di Tschai e dei Principi Demoni, o lo splendido Crociata spaziale (Emphyrio, 1969), ma rimane comunque una lettura gradevole, imperdibile per gli appassionati del grande Jack.
Il libro si divide in due parti. La prima è interessante non solo perché prepara il lettore alla seconda (decisamente più movimentata e articolata), ma altresì perché presenta, per voce del barone Bodissey – figura onnipresente e collante fra molti cicli e romanzi – la quintessenza del pensiero di Jack Vance (specie nei confronti di certa fantascienza? Chissà?): “Barone Bodissey… era particolarmente mordace nei riguardi di ciò che chiamava iperdidatticismo inteso come uso di astrazioni rimosse di almeno sei livelli della realtà, per giustificare chissà quale pseudoprofondo intellettualismo.”
La seconda parte del romanzo si rimette in linea con il resto della produzione vanceana: attraverso il consueto stile elaborato ma efficace, dove sarcasmo e satira rivestono un ruolo di primo piano, si fa la conoscenza con culture biologicamente umane, ma aliene per usi e costumi. Le quali mettono a dura prova la pazienza dei protagonisti.
La storia si inserisce perfettamente nell’universo futuro dell’Oikumene, un futuro talmente remoto da sfuggire a qualsiasi spiegazione evolutiva. I particolari e i personaggi sono numerosi ma, alla fine della lettura, niente risulta superfluo bensì fondamentale per la piena comprensione della trama.
Da segnalare che la quarta di copertina dell’Urania del 1997, sinora unica edizione italiana dell’opera, è un concentrato di grossolane inesattezze. La copertina, come succede spesso ancora oggi, c’entra poco con il testo. Quelle delle edizioni americane possono non piacere ma, in genere, sono più in sintonia con la trama. 
Consigliato soprattutto a coloro che volessero approfondire l’opera e la filosofia del compianto Jack Vance. 

 

Jack VANCE, LA FIAMMA DELLA NOTTE (Night Lamp, 1996), trad. di G. L. Staffilano, Mondadori, collana Urania n. 1312, 455 pp., 1997.