UCZ #129 – Luna d’inferno, di John Wood Campbell Jr.

L’Urania Collezione di questo Ottobre 2013 ci propone un romanzo breve e 3 racconti di un personaggio fondamentale per quello che è il nostro genere preferito: probabilmente la SF non sarebbe quella che è se uno strano scherzo del destino ci avesse privato di John Wood Campbell jr.

John W.Campbell, storico editor di Astounding Science Fiction, sul finire degli anni’30 ha “forgiato” la SF moderna catapultandola in quella che è passata alla storia come la “golden age of SF”.

Campbell immaginava un certo tipo di SF e pretendeva dai “suoi” autori delle storie con caratteristiche ben precise (ed in questo modo ha influenzato i giovani scrittori della sua scuderia, e parliamo di gente del calibro di Asimov, Van Vogt, Del Rey, Sturgeon ed Heinlein) ed ha plasmato la moderna space opera e la fantascienza tecnologica/hard.

Ma questa è storia nota a tutti gli amanti della SF ed evitiamo quindi di entrare nei dettagli.

Campbell divenne editor di “Astounding” alla fine del 1937 ma era gia conosciuto nell’ambiente come autore, avendo cominciato a pubblicare le sue storie nel 1930 sulla rivista “Amazing Stories” (allora diretta da O’Connor Sloane).

Tra le sue opere non possiamo non menzionare i meravigliosi racconti aventi per protagonisti i tre scienziati Arcot, Wade e Morey (racconti riuniti nel volume “Isole nello spazio”, edito dalla Nord nella collana Cosmo Oro) e la saga di Aarn Munro il Gioviano.

In questo volume di Urania Collezione, un’antologia, troviamo un romanzo del 1950, “Luna d’Inferno” (The Moon is Hell) e tre racconti degli anni ’30, e cioè “Sette milioni di anni” (Twilight, 1934), “Alla fine del tempo” (Night, 1935) e “La cosa da un altro mondo” (Who goes there, 1938).

Cominciamo da quello che è a mio avviso l’anello debole della catena: “Luna d’inferno”

Questo romanzo, conosciuto anche col titolo “Martirio lunare” (“I romanzi di Urania” n.30) risente pesantemente degli anni che ha sulle spalle; l’opera narra le avventure e le vicissitudini di un gruppo di uomini bloccati sulla Luna, che cercano in tutti i modi di sopravivvere in attesa dell’arrivo di una spedizione di soccorso. Sopravvivranno per ben 3 anni. Il romanzo è scritto sotto forma di diario personale. Quello che riusciranno a fare questi uomini è davvero incredibile, oltre che scientificamente non verosimile. Ma, a parte a questo,  la narrazione procede molto lentamente e il romanzo risulta abbastanza noioso: non ci sono dialoghi, nè scambi di opinioni e/o battute, i personaggi hanno solo un nome ed un cognome…sono delle sagome di cartone, e per 150 pagine non c’è null’altro che una serie infinita e ripetuta di operazioni tecniche banali ed “invenzioni” scientificamente assurde (lascio a voi il piacere di scoprire di cosa sto parlando).

Isaac Asimov, a proposito dello stile di Campbell, diceva:” ….per di più, Campbell viola a man salva le leggi più basilari della natura. Egli estrae enormi quantità di lavoro da un pozzo di calore uniforme, a dispetto della seconda legge della termodinamica; produce materia costituita di fotoni solidificati, alla faccia di Einstein; introduce nuovi metalli in barba alla tavola periodica degli elementi.

Perché, allora, dopo quanto si è detto, i vecchi romanzi di John Campbell sono una lettura indispensabile per chiunque ami la fantascienza?… Per la semplice ragione che fra tutti i loro difetti splende il lavorio di unimmaginazione fervidissima, accompagnata da una spinta e un entusiasmo che trascinano con sé, volenti o nolenti, i lettori.”

Ecco, questo “Luna d’Inferno” fallisce proprio perché, pur presentando tutti i difetti dello stile campbelliano, manca di quello che è il suo principale pregio: la favolosa immaginazione ed il sense of wonder. Lontanissimo dai livelli raggiunti dallo stesso autore in altri lavori.

Bisogna anche dire che probabilmente chi ha letto questo romanzo negli anni ’50, e magari da ragazzino, lo avrà trovato evocativo ed avrà sognato leggendo del paesaggio lunare e dei crateri, di astronavi che solcano gli spazi siderali e della faccia buia della Luna.

Discorso completamente diverso, invece, per i 3 racconti che completano il volume.

I  racconti “Sette milioni di anni” e “Alla fine del tempo” formano idealmente un dittico. Entrambi sono ambientati in un lontanissimo futuro, in una stessa linea temporale ed hanno diversi punti di contatto. Scritti tra il ’34 ed il ’35, conservano intatto il loro fascino.

Sono racconti fortemente evocativi che riescono a trasportare il lettore in un sistema solare così lontano nel tempo da risultare alieno. Un sistema solare ed una civiltà umana in totale decadenza, scenari dall’innegabile fascino neoromantico.

L’ultimo racconto dell’antologia è “La Cosa d’un altro mondo”.

Ragazzi, questo racconto ha circa 75 anni (ed in alcuni dettagli scientifici ciò risulta evidente) ed è un classico. Da questo racconto sono stati tratti 3 film: “La cosa” di John Carpenter (1982), “La cosa da un altro mondo” di Howard Hawks (1951) e “La Cosa” di Van Heijningen Jr. (2011).

Le atmosfere sono molto diverse rispetto a quelle evocate dai due racconti precedenti. Le prime pagine ricordano, molto piacevolmente, l’inizio de “Le montagne della follia” di Lovecraft, ma dopo le prime pagine si cambia completamente registro e ci ritroviamo davanti ad un incubo fantascientifico: un pericolo incombente di origine extraterrestre che minaccia un gruppo isolato di uomini, costretti all’interno di una base antartica.

Racconto che scorre velocemente, incalzante, coinvolgente, claustrofobico, tra ghiacci perenni e sentori di “Alien”. Come dicevo, un classico!

Se non li avete mai letti, questi 3 racconti, da soli, valgono l’acquisto di questo volume.