Farmer, il dio burlone: profilo di Philip J. Farmer (parte seconda)

Ho spezzato il mio articolo, che mi sembrava davvero troppo lungo per un post…ecco la seconda parte, per gli amanti del mitico Farmer (in tutti i sensi).

Un altro tentativo di conciliare i vari aspetti dell’opus farmeriano in un’unica immagine letteraria è quello, invero mol­to interessante, proposto da Thomas L. Wymer, altro critico di rilievo.

Wymer sostiene che la chiave per vedere Farmer in un unico e veritiero sembiante ce la propone l’autore stesso, che spesso si presenta come un artista, come il «dio burlone».

Il dio burlone, il «trickster», è una delle figure mitologiche più antiche ed enigmatiche. Lo troviamo tra i greci antichi, tra i celti, i cinesi, i giapponesi, i semiti, e gli amerindi. Mol­te delle sue caratteristiche sono state perpetuate nel giullare medievale e nel festum fatuorum e nella figura alchemica di Mercurio e sono sopravvissute fino al presente nei moderni clown. Più d’un critico lo ha visto come figura centrale nella letteratura americana. Il burlone è talvolta un dio creatore, altre volte un oppositore del dio creatore, ma sempre un vio­latore di tabù, un furfante, un briccone erotico e scatologico. E anche il padre delle bugie, l’originale narratore di storie, l’artista archetipico.

Farmer sembra avere un’affinità speciale con il Burlone. Egli richiama l’attenzione su personaggi che si comportano da burloni, come Tarzan, «sempre pronto, nella sua adolescenza, a giocare tiri mancini, a fare scherzi da briccone» (vedi «Tar­zan Alive», la biografia spuria scritta da Farmer sulla vita di Tarzan), o ancora come Kickaha del ciclo dei Fabbricanti di Universi, o come Winnegan Finnegan in «Riders of the Pur­ple Wage». Kickaha, in particolare, tra tutti i personag­gi creati da Farmer, mi sembra quello che meglio incarna l’i­deale del «trickster», e non a caso, è anche quello che Farmer preferisce e in cui rispecchia la sua stessa personalità, ì suoi stessi ideali. Kickaha è un alter ego dell’autore; è Farmer co­me questi vorrebbe essere, e così viene descritto nel ciclo dei Fabbricanti di Universi: «Io sono Kickaha, il kickaha, il bur­lone, l’imbroglione, il creatore di fantasie e di realtà. Io sono l’uomo che non può essere vincolato da nessun limite». In precedenza, nel primo libro della serie, Kickaha aveva asseri­to che il suo nome gli era stato dato dal popolo degli Orsi dello zoccolo degli Amerindi del mondo fatto a ziggurat: «Nel loro linguaggio, un kickaha è un personaggio mitologico, un burlone semidivino. Qualcosa simile al Vecchio Uomo Coyote degli indiani delle praterie o al Nanabozho degli Ojibway o al Wakdjunkaga dei Winnebago».

È significativo  che Farmer tragga le sue figu­re di «trickster» principalmente dalla mitologia amerinda, giacché è proprio qui, specialmente nel ciclo Winnebago, che il simbolo del burlone archetipico rivela più chiaramente i suoi aspetti positivi.

Il burlone farmeriano è principalmente un oppositore del­la morale convenzionale, un essere che non può essere co­stretto da limiti e barriere prestabilite, che si lancia al di fuori di tutti i confini letterari, erotici, morali, e che manifesta il suo spirito comico, la sua vis ironica in quella che rimane la forma più basilare e pungente di umorismo, lo scherzo.

In questo stesso schema vanno inquadrate anche le bio­grafie di Tarzan, Doc Savage e Kilgore Trout, notevoli pezzi di ricerca di per sé e al contempo parodie di «studi letterari», nonché i vari romanzi fantapornografici, in cui tuttavia va approfondito l’ulteriore aspetto psicanalitico. La rottura dei tabù sessuali e la liberalizzazione della psiche umana fanno anch’essi parte della incontenibile natura del «trickster». E sempre lo schema del «trickster» che spinge Farmer a deli­ziarsi nella trasformazione in segni letterari dei sogni e delle fantasie mitiche, adoperando la fantascienza per fornire alla psiche un mezzo tramite cui esprimere all’esterno le sue paure e i suoi desideri.

Ovviamente, tutte le opere scritte da Farmer ai suoi esordi rientrano in questa categoria: quali migliori esempi di rottura dei tabù sessuali, morali e religiosi convenzionali possiamo trovare in tutta la sf di «The Lovers», «Mother», «Inside Outside», «My Sister’s Brother», il ciclo di «Notte di luce» e di padre Carmody?

Il ciclo dei Fabbricanti di Universi è addirittura impernia­to su una serie di personaggi, a parte Kickaha, che sono ma­nifestamente degli dèi burloni: e gli stessi Eletti, gli esseri sconosciuti e superumani del ciclo del Fiume, lo Straniero Sconosciuto, il misterioso X, cosa altro sono se non dei «trickster gods», degli dèi infidi che si divertono a manipolare l’umanità per chissà quali scopi strani?

Se dunque, nei casi precedenti, vedevamo l’artista all’ope­ra come dio burlone, in queste due serie abbiamo proprio dei «trickster gods» a protagonisti della vicenda.

È chiaro che le implicazioni di quest’idea della figura del dio burlone come filo conduttore e unificatore dell’opus farmeriano vanno ben oltre queste brevi note. Si potrebbe discu­tere a lungo ad esempio sullo scopo finale della figura del dio burlone, che, secondo alcuni, dovrebbe essere quella del «sal­vatore», il quale, crescendo, perde la sua stupidità infantile, e si evolve fino a diventare un vero dio creatore. Oppure si po­trebbe disquisire sugli aspetti più oscuri e contraddittori del «trickster», sul suo lato infantile e bizzarro che riflette il desi­derio comune a tutti (e in particolare a Farmer) di mantenere l’ingenuità, il candore, la fantasia sbrigliata del bambino che è ancora dentro di noi; sulla sua curiosità inesauribile, che lo spinge a una spasmodica ricerca della verità (vedi il ciclo del Mondo del Fiume). Il «trickster», secondo la tradizione cultu­rale, rappresenta in sostanza la protesta individuale contro le inibizioni del buon comportamento e le espressioni di sesso formalizzato che devono esistere all’interno di ogni gruppo sociale. E l’artista, inteso come visionario, è sempre stato co­lui che ha attinto al potere dell’inconscio per rompere le nor­me della conformità.

Il «burlone» rappresenta inoltre lo spirito del disordine, e il disordine appartiene alla totalità della vita. La sua funzione nella società arcaica, o meglio la funzione del suo archetipo e dei racconti su di lui, è di aggiungere disordine all’ordine in modo da raggiungere un tutt’uno completo, da rendere possi­bile all’interno del campo di ciò che è permesso, un’esperien­za di ciò che non è permesso.

In definitiva, ci sembra che si possa affermare che la figu­ra del «trickster», del burlone scatologico, sia necessaria nella società moderna come lo era in quella arcaica, perché, come riesce a dimostrare meravigliosamente tutta l’opera di Far­mer, lo spirito dell’irreprensibile e incomprimibile sfida comi­ca può essere il maggior mezzo di difesa e l’unica sorgente di creatività rimasta in una società sempre più omogeneizzata e omogeneizzante.