Lucy

Lucy è un film franco-americano scritto e diretto da Luc Besson e prodotto dall’Europacorp. Nel cast figurano due personaggi assai noti al grande pubblico, Scarlett Johansson e Morgan Freeman, l’una nei panni di una semplice ragazza catapultata in un guaio di dimensioni epiche, l’altro nei panni di un professore e ricercatore universitario specializzato nelle neuroscienze.

Il sipario si apre su un’immagine microscopica. Una grossa ed acquosa cellula eucariotica si scinde dapprima in due cellule figlie che si dividono a loro volta dando origine ad altre quattro cellule e così via, in una sequenza infinita di mitosi, finché le cellule diventeranno decine di migliaia. Il processo microscopico è condito da un inquietante fischiettio musicale di sottofondo. Da qui si capisce che la visione non sarà tecnicamente spensierata, almeno non nel senso comune del termine.

Le cellule spariscono, sostituite da un’immagine della Terra dallo spazio a cui seguono le riprese di una metropoli americana e della vita che si svolge dentro di essa. Quindi si ode una voce fuori scena.

La vita ci è stata donata un miliardo di anni fa. Che ne abbiamo fatto?”.

Ed ecco Morgan Freeman che parla di neuroscienze nell’aula di un’università. Il suo discorso lo abbiamo già sentito migliaia di volte. L’uomo utilizza il 10% delle sue capacità cerebrali mentre i delfini ne utilizzano ben il 20% e tra le doti aggiuntive che hanno sviluppato questi simpatici mammiferi marini c’è il sonar. “Dovremmo concludere” dirà il neuroscienziato di fronte a un nutrito gruppo di studenti, “che gli esseri umani sono interessati all’avere, più che all’essere?”.

Tutto già visto e sentito, naturalmente. Ma quanti film hanno osato portarsi avanti con l’immaginazione fino ad azzardare le sconvolgenti conseguenze di un cervello umano attivo al 100% delle sue potenzialità? Lucyprova a dar voce alle teorie new age più affascinanti. Il tema trattato è di estremo interesse per chiunque si sia fatto domande esistenziali di un certo rilievo nel corso della sua vita, cioè quasi tutti.

Trattandosi di science fiction, alla fine ci ritroveremo sul groppone più domande che risposte impantanandoci ancora di più nel dubbio esistenziale. Ciò non toglie che il film di Luc Besson affronti un argomento non solo molto attuale ma addirittura fondamentale. Non è un caso se le ricerche nel campo delle neuroscienze si moltiplicano giorno per giorno ad un ritmo forsennato. La conoscenza del nostro cervello e della nostra mente è importante quanto e forse più della conoscenza del mondo in cui viviamo. Conoscere noi stessi ci libererebbe da alcune catene della mente e dagli inganni che questa esercita non di rado sulla nostra coscienza.

Ce lo spiega molto bene la stessa Lucy a metà del film.

“Ora che ho accesso alle parti più recondite della mia mente ho capito una cosa: quello che fa di noi ciò che siamo è primitivo. Sono tutti ostacoli, come questo dolore che stai provando. Ti blocca, ti impedisce di capire”.

La mente mente. I sensi ci distraggono dal nostro vero essere. Con buona pace del buddismo che lo dice da qualche migliaio di anni a questa parte.

L’argomento interessa ognuno di noi e su questo siamo tutti d’accordo. Resta alquanto opinabile, invece, la scelta di aggiungere ad una storia incentrata sulla filosofia della mente una quantità incommensurabile di sparatorie tra agenti criminali in giacca e cravatta, a cui si aggiunge un lungo ed adrenalinico inseguimento in automobile contromano. Era proprio necessario? E perché? Questa scelta aumenterà davvero gli incassi? Forse sì, ma il rischio è quello di far cadere il film nell’oblio con il passare degli anni.