Parapsyche, di Jack Vance

I suggest,” said Don, “that the so-called after-life is identical to the collective unconscious of the human race.”

 

Copertina della rivista Amanzing Science Fiction Stories (agosto 1958), con cover firmata dall’artista Edward “Ed” Valigursky

Parapsyche, romanzo breve di Jack Vance ancora inedito in italiano, vide la luce nel 1958, sul numero di agosto della rivista Amazing Science Fiction Stories (nome che Amazing Stories portò tra il ’58 e il ’60), diretta all’epoca da Paul W. Fairman (1909-1977). Superato il periodo di apprendistato – tra il 1945 (anno della prima short story pubblicata) e il 1952 (con l’uscita dell’epocale Big Planet, it. L’odissea di Glystra) – l’autore californiano aveva consolidato la propria carriera con libri di indubbia qualità come To Live Forever (1956, primo romanzo importante di Vance a essere pubblicato direttamente in volume; it. Gli Amaranto o Stato sociale: Amaranto) oppure The Languages of Pao (1957, it. I linguaggi di Pao). Non è un caso se il nome di Vance è ben visibile sulla copertina del magazine: ormai aveva raggiunto un posto fisso nel firmamento degli scrittori statunitensi di science fiction. E benché Parapsyche si apra con l’apparizione di un fantasma in una casa abbandonata, non è un romanzo dell’occulto e del soprannaturale ma ci racconta una storia squisitamente fantascientifica, sebbene sui generis.

Illustrazione interna al magazine, firmata dall’artista Sam Kweskin

E’ vero che il lettore non incontra nulla di ciò che ha reso famoso Vance tra gli appassionati: non ci sono mondi alieni né società esotiche. Il tempo è quello allora contemporaneo, poco dopo la conclusione del conflitto coreano, il luogo la California, e non compaiono minacce aliene (come nel caso di un altro lavoro vanceano da poco apparso in Italia, Nopalgarth). Nonostante i numerosi riferimenti al pericolo comunista (il personaggio principale è reduce da una lunga detenzione in un campo di prigionia cinese) il bersaglio principale del menestrello di San Francisco in questo caso è la religione, specialmente quella che mira a instaurare un ordine universale a scapito del libero pensiero e della dignità dell’individuo.

L’attacco sferrato è fortissimo, tale che non solo è negata l’esistenza di un Aldilà autonomo, identificato con l’inconscio collettivo della razza umana, ma spinge il protagonista a sostenere che la divinità stessa è un prodotto delle esigenze spirituali dell’Homo sapiens.

Religion was, God was. But they were functions of Man; the mind of Man was the Creator.”

Sono altresì spiegati, in maniera razionale, tutti i misteriosi fenomeni tipici del paranormale, come spettri, fantasmi e poltergeist.

In questa situazione diventa possibile esplorare la sfera dell’inconscio di specie, o Aldilà che dir si voglia, e per farlo si deve “morire”, meglio se solo temporaneamente, oppure simulare il decesso per mezzo di una sedazione profonda. Il processo, ideato dagli scienziati al centro del romanzo, spinge il corpo fisico a una specie di morte apparente (in una condizione simile a quella dell’ibernazione), consentendo così all’anima di librarsi verso una nuova dimensione, per poi fare ritorno. In questa singolare realtà post-mortem i personaggi storici e le celebrità trapassate da poco tempo mostrano una grande vitalità, poiché nell’inconscio collettivo la loro immagine è forte e consolidata. Le proiezioni delle persone comuni, specialmente quelle che non hanno più nessuno nel mondo reale a ricordarle, tendono lentamente a svanire nel nulla.

Il paranormale è quindi al centro della narrazione, in modo particolare la comunicazione con le anime dei defunti. Vance, dimostrandosi uno scrittore molto più versatile di quanto comunemente creduto dai malinformati, affronta questa tematica con piglio degno della migliore fantascienza, arrivando a una formulazione geniale di cosa sia l’Aldilà. Vance fa proprio l’uso di concetti teorizzati da Carl Gustav Jung e Joseph Campbell, come l’inconscio collettivo e le figure archetipi in esso presenti, adattandoli alle proprie esigenze narrative, con il consueto stile scorrevole per il quale è universalmente noto. Se qualcosa manca è la verve ironica che si sarebbe palesata con più forza nei lavori degli anni Sessanta e successivi.

Il primo paragone che è venuto in mente a chi scrive, per i temi affrontati e per alcune atmosfere, è con il romanzo Traitor to Living (1973, it. Primo contatto) di quell’altro grande affabulatore che risponde al nome di Philip J. Farmer (1918-2009). Ma in realtà l’originalità del lavoro di Vance va oltre.

Jack Vance in una foto scattata nel 1957 circa

Sebbene Parapsyche non abbia riscosso il successo meritato, come dimostrano gli scarsi inserimenti in raccolte e antologie degli anni successivi nonché la sua mancata traduzione in italiano, è stato oggetto di forte interesse da parti di altri scrittori. In primis l’anglo-canadese Matthew “Matt” Hughes, oggi forse il primo discepolo del grande Jack, che dall’idea vanceana al centro di Parapsyche è partito per sviluppare un’intera creazione letteraria, l’Archonate Universe, il cui principale titolo, il romanzo fix-up The Commons (2007), è stato pubblicato anche in Italia come Guth Bandar esploratore della Noosfera (Delos Books 2009, trad. di Roberto Chiavini e introduzione di Salvatore Proietti).

In questo viaggio nell’Ade, Jack Vance indossa per il lettore i panni di un novello Virgilio e al tempo stesso si conferma come uno dei più raffinati maestri della letteratura di fantascienza di tutti i tempi, un paesaggista certamente ma anche un indagatore della realtà ultima dell’universo, uno scrittore sempre capace di incantare nuove generazioni di appassionati.

Non resta che aspettare la versione italiana di Parapsyche che, in questo periodo di rinnovato interesse per l’opera dell’indimenticabile scrittore californiano, non dovrebbe tardare. Salvo ripensamenti dell’ultimo minuto.

Da notare che sempre nel 1958, a luglio, fu pubblicato un altro splendido lavoro firmato Jack Vance, il racconto “The Miracle-Workers” (it. “L’uomo dei miracoli”), ricco di elementi che sarebbero stati poi sviluppati nel capolavoro assoluto The Last Castle (1966, it. L’ultimo castello). Ma questa è un’altra storia.