Urania Horror n. 8: I figli della notte (vol. 1) di Robert E. Howard

Robert E. Howard è conosciuto in larghissima parte per i cicli di Conan il Barbaro e Solomon Kane, ma non tutti sono a conoscenza della sua produzione in termini di racconti puramente dell’orrore, in grado di rivaleggiare con i maggiori esponenti horror e weird della sua epoca.

Nato nel 1906 e suicidatosi nel 1936, Robert Ervin Howard era molto apprezzato da H. P. Lovecraft, del quale fa sempre bene riproporre le citazioni sia per la loro qualità che per la loro autorevolezza bibliografica. In “Ricordo di Robert E. Howard” (articolo comparso nel volume In difesa di Dagon e altri saggi sul fantastico, Sugarco Edizioni), Lovecraft scrive: «È  difficile descrivere con precisione ciò che rende tanto straordinarie le novelle del signor Howard; forse la verità è che lui stesso è presente in ciascuna di esse, si tratti o meno di storie commerciali. Era più grande di qualsiasi politica del profitto egli adottasse, perché anche quando faceva vistose concessioni a direttori guidati esclusivamente dal dio-denaro, da Mammona, e a critici della stessa risma, la sua innata forza e sincerità venivano sempre a galla, lasciando l’impronta della sua personalità su qualunque cosa scrivesse». E aggiunge: «La poesia del signor Howard non è meno rimarchevole della sua prosa. È permeata dell’autentico spirito della ballata e dell’epica, ed è contraddistinta da un ritmo pulsante e da immagini potenti di estrema qualità».

Con l’occasione, infatti, nell’edizione italiana (Urania Horror n. 8) dell’antologia The Horror Stories of Robert E. Howard (Del Rey, 2008), sempre con la traduzione di Laura Serra sono inserite fra i racconti numerose poesie. Mentre le storie sono presentate seguendo l’ordine cronologico delle loro pubblicazioni su riviste come “Weird Tales”, le posizioni delle poesie seguono una logica indipendente. Nota bene: l’edizione italiana è stata suddivisa in due volumi, e la seconda parte deve ancora uscire, sempre con Urania Horror.

Le trentasei storie presentate, tra racconti e poesie, sono molto articolate. Si va dai lupi mannari alle storie di fantasmi capaci di far invidia a specialisti come Ambrose Bierce. A proposito, lo sapete che se un lupo mannaro viene ucciso mentre ha sembianze di lupo, muore, ma se viene ucciso mentre ha sembianze umane, la sua anima perseguiterà il suo assassino per sempre? E se qualcuno vi dicesse che un lupo mannaro non è un uomo che assume l’aspetto di lupo ma un lupo che assume l’aspetto di uomo?

Solomon Kane e Conan il Barbaro non mancano di certo all’appello, ma sono presenti come sogni reali dei protagonisti nel perfetto stile del lovecraftiano Randolph Carter. I personaggi di Robert E. Howard precipitano occasionalmente in un sonno profondo e si ritrovano a vivere in lontane epoche perdute o in altri mondi veri e propri, nei panni dell’uno o dell’altro eroe.

I figli della notte  prende il nome dall’omonimo racconto che fa capo a una serie di storie basate sulle leggende nordiche legate al Piccolo Popolo. Leggende tramandate di bocca in bocca nei secoli dei secoli che parlerebbero di piccoli mostri umanoidi che avrebbero abitato nel sottosuolo. Sebbene tali leggende parlino di creature fantastiche quali folletti, gnomi e troll, dal punto di vista storico sembrerebbero esserci delle radici concrete legate alle etnie che abitavano l’Europa del Nord prima che venisse occupata dagli ariani: «una razza di bassi aborigeni di origine mongola, così in basso nella scala evolutiva da poter essere considerati a stento umani e tuttavia dotati di una loro precisa, benché ripugnante, civiltà». Il succo è questo, ma uno storico sarebbe di sicuro più chiaro e preciso al riguardo. In ogni caso, sono gli stessi personaggi dei racconti a fare un po’ di divulgazione antropologica prima di addentrarsi nelle loro tenebrose vicende.

Come se non bastasse, in I figli della notte s’incontrano morti viventi e stregoni, e si affrontano libri occulti come il Necronomicon nella traduzione originale greca e Culti innominabili di von Juntz (ma guai ad aprirli o anche solo a menzionarli).

In conclusione, quando viene fatto un buon lavoro editoriale bisogna dirlo. E questa antologia di Robert E. Howard è davvero ben fatta, con i suoi oscuri racconti tra il fantasy e l’horror in perfetto stile howardiano. Un’ultima lancia va spezzata in favore della traduzione: anche in assenza del confronto con la versione originale, l’uso delle parole in italiano è assolutamente evocativo e congeniale alla narrativa dell’orrore d’altri tempi.